L’orologiaio riparatore: un mestiere in via di estinzione?

L'orologiaio riparatore: un mestiere in via di estinzione?

Da alcuni mesi sulle pagine de L’OROLOGIO portiamo avanti un dibattito sulla situazione dell’assistenza post-vendita in Italia. La situazione è delicata per molti orologiai riparatori indipendenti, i quali si trovano impossibilitati a reperire i pezzi di ricambio, che le Case forniscono solo alla propra rete di assistenza, perlopiù legata ai concessionari ufficiali.

Sono tanti gli orologiai che ci hanno scritto in merito a questa delicata questione. Quella che segue è una interessante lettera, con relativa risposta, che sarà pubblicata sul prossimo numero 162 de L’OROLOGIO, tra una settimana circa in edicola.

PROFESSIONE OROLOGIAIO: IL DIBATTITO CONTINUA

Gentile Direttore,

sono Pierluigi Doni, orologiaio indipendente da 38 anni e responsabile per la categoria di Confartigianato.

Ho letto con interesse le interviste apparse sui n° 159-160 della Sua rivista e non mi sorprende che il sig. Mario Peserico, presidente di Assorologi non prenda posizione sul problema “fornitura pezzi di ricambio”, in quanto Assorologi raggruppa le aziende distributrici che sottostanno alle direttive delle Case madri svizzere.

Confartigianato e CNA da parecchi anni cercano una via di dialogo con i produttori svizzeri e i distributori italiani ma si sono sempre scontrate con un muro di gomma.

Già alla fine degli anni ’90 il problema dei pezzi di ricambio si faceva sentire e anche agli orologiai indipendenti che avevano l’assistenza di marchi blasonati(formati dalle stesse aziende e riconosciuti “maestri orologiai”con tanto di certificato stampato) veniva ritirata la possibilità di approvvigionarsi dei ricambi per non meglio precisate”nuove strategie organizzative”. Nel giro di pochi anni, facendo cartello, tutti i più grandi marchi hanno accentrato l’assistenza con un’impennata dei costi di riparazione e tempi lunghissimi di esecuzione, non avendo più concorrenza.

Siamo arrivati all’assurdo che noi orologiai indipendenti non possiamo nemmeno avere un cinturino di ricambio delle grandi marche perché “non abbiamo le capacità tecniche e la strumentazione necessaria”? E non mi si dica che con un cinturino si contraffà un orologio.

Confartigianato ha anche organizzato, nell’ambito del Progetto Qualità nell’orologeria, corsi di perfezionamento per orologiai italiani presso la scuola svizzera Wostep e ha ricevuto apprezzamento, da parte dei docenti e dal direttore della scuola, per la preparazione e la serietà dei partecipanti ai vari corsi, ma nemmeno questo è servito a dialogare con i produttori svizzeri.

Preso atto che il problema pezzi di ricambio è un problema europeo, Confartigianato e CNA hanno contattato le associazioni di categoria delle altre nazioni e nel 2003 è nato a Bruxelles la CEAHR (Confederazione Europea delle Associazioni di Orologiai Riparatori) con la partecipazione di Austria, Belgio, Francia, Inghilterra, Italia, Olanda ed è iniziata la raccolta di documenti comprovanti l’atteggiamento discriminatorio delle Case orologiere nei confronti degli orologiai indipendenti.

Nel giro di poco tempo è stato approntato un documento di oltre 400 pagine che è stato utilizzato per proporre reclamo alla Commissione Europea per la Libera Concorrenza.

Purtroppo da oltre due anni la potente lobby svizzera riesce a tenere bloccato il ricorso alla commissione e nel frattempo noi orologiai indipendenti soffriamo anche perché questa situazione permette ad alcuni intrallazzatori di fare fiorire il mercato nero dei pezzi di ricambio originali mettendo in sofferenza anche i magazzini di forniture.

Stando così le cose, parecchi colleghi hanno chiuso o lo stanno per fare, altri che avevano dipendenti si sono ridimensionati e altri si sottopongono alle dipendenze di marche con i vincoli del caso.

Anche i giovani che intraprendono la formazione hanno un futuro di dipendenza dalle grandi marche, senza la possibilità di sviluppo professionale in quanto anche i nuovi progetti di finanziamento della scuola di Milano ritengo siano finalizzati al reperimento di manodopera per i centri assistenza delle grandi marche, dove il lavoro è settorializzato e difficilmente si diventa orologiai finiti.

Con questa prospettiva la professione dell’orologiaio intesa come passione, dedizione e, se vogliamo, anche inventiva, andrà a finire e si perderà la cultura del mantenere un orologio che nel tempo entra a far parte della famiglia e si carica di ricordi tramandati da generazioni.

Questa è in sintesi la situazione vissuta con molto disagio dalla categoria.

Cordiali saluti.

Pierluigi Doni

Gentile sig. Doni,

pubblichiamo con piacere la sua lettera, che riassume in maniera esemplare la frustrazione di un’intera categoria. E che ci conferma che la professione di orologiaio indipendente in Italia sta affrontando un momento molto critico. La situazione particolarmente difficile per voi artigiani si riflette anche sul mercato. Il braccio di ferro con le Case ha come conseguenza l’impossibilità, per il possessore di un orologio, di scegliere in libertà l’artigiano o il laboratorio cui affidarlo. Per i pezzi molto importanti, addirittura non si può prescindere dall’obbligo di inviare l’orologio in assistenza in Svizzera, con costi che lievitano di conseguenza. Questo dovrebbe bastare a smuovere l’opinione dei consumatori per appoggiare le vostre istanze presso le sedi istituzionali (tra cui la Commissione Europea già interpellata). Sapendo che la coscienza del consumatore in Italia non è abbastanza matura da far valere i propri diritti con lo stesso vigore, ad esempio, delle associazioni di consumatori americane, ci domandiamo cosa stia succedendo negli altri Paesi europei. Lei ci parla di una Confederazione Europea delle Associazioni di Orologiai Riparatori. Sarebbe interessante sapere quali nazioni abbiano aderito e se la situazione nei diversi Paesi sia identica o solo simile a quella italiana.

Inoltre, ci domandiamo come il precedente dell’industria automobilistica, dove i costruttori sono stati obbligati a fornire i pezzi di ricambio a tutte le officine meccaniche indifferentemente, non possa funzionare da rompighiaccio per la vostra protesta.

L’unica certezza, fin qui, è che in Italia rischia l’estinzione una intera categoria di piccoli imprenditori artigiani, che anche attraverso le pagine de L’OROLOGIO sta cercando visibilità e appoggio. A questo punto è corretto offrire la possibilità di replicare a quegli operatori, distributori e produttori, che con la loro politica protezionistica stanno contribuendo a costringere tante piccole attività a “chiudere bottega”.

Noi come stampa forniamo lo spazio per il dibattito. Sta ora a tutte le figure chiamate in causa, anche i consumatori stessi di cui si sta decidendo la libertà di scelta e di spesa, partecipare e far valere la propria opinione.

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