Editoriale – L’orologeria e l’Italia

Dall’avvocato Agnelli, che ha reso famoso più di un orologio indossato in bella vista sopra al polsino della camicia, ai distributori, designer e negozianti, l’orologeria svizzera deve molto al nostro Paese. Si diceva un tempo che “se un modello funziona in Italia, funzionerà in tutto il mondo” (qualcuno lo dice ancora). Anche se il volume delle esportazioni verso oriente ha messo parzialmente in ombra il primato del gusto italiano. È la vittoria della quantità sulla qualità, contro l’assunto che sia quest’ultima che conta.
E pensare che mentre noi italiani rendevamo grande l’Omega Speedmaster, a Hong Kong si vendeva solo il Constellation, modello che dalle nostre parti non ha mai riscosso un grande consenso. E che senza il fiuto dell’importatore Carlo De Marchi il Royal Oak non esisterebbe. Per non parlare del Reverso, reinventato da Giorgio Corvo, che addirittura fece assemblare i primi orologi ritirando una partita di vecchie casse, che giacevano dimenticate nella manifattura Jager-LeCoultre. Questi sono i più famosi.
Ma perfino il Polo di Piaget è nato dai suggerimenti dei commerciali italiani della marca. E il Rolex Daytona in acciaio, ricercato, desiderato, introvabile in Italia ma esposto in bella vista nelle vetrine di altri Paesi? Un altro fenomeno nato all’interno dei nostri confini ed esportato in tutto il mondo.
E poi il TAG Heuer Monaco, tornato in produzione grazie alla perseveranza di Roberto Beccari, responsabile della marca in Italia nel 1998. Sto andando a memoria, e so di dimenticarne alcuni, se non molti. Ad esempio il fenomeno Swatch, creato dall’inventiva di Franco Bosisio, trasformando un orologio di plastica nera in una tela per artisti.
Giungendo ai giorni nostri, l’estro italiano non ha cessato di dar vita a orologi di successo, come il Twenty-4 di Patek Philippe, disegnato nel 1999 dal commerciante e designer di Biella Roberto Boglietti, o più recentemente il Bulgari Octo Finissimo, nato dalla matita di Fabrizio Buonamassa Stigliani. Senza dimenticare Girard-Perregaux, marca rilevata negli anni ’80 da Gino Macaluso e sotto la sua guida salita ai vertici dell’alta orologeria, fino a gareggiare sullo stesso piano di mostri sacri come Patek Philippe e Breguet.
Ho voluto fare questa carrellata, ispirata dal ritorno dello Zenith De Luca (tra l’altro, non l’unico Zenith nato su richiesta del distributore italiano Descombes), cui si è rifatta Zenith per il disegno del nuovo Chronomaster Sport. È bello che le manifatture stiano riportando in vita il passato recente, perché la storia non va dimenticata.
E quella dell’orologeria moderna parla italiano.

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