IL VERO VALORE DEI MARCHI (BM&J) – TRADUZIONE ITALIANA

Gira su internet da alcuni giorni. Visto che interessa molto anche gli appassionati italiani, forniamo la traduzione italiana della classifica dei marchi stilata da Business Montres & Joaillerie. Non condividiamo tutti i commenti del collega Gregory Pons, ma lo strumento è nuovo ed interessante.

Chiunque abbia domande in proposito, può lasciare un commento qui sul blog.

IL VERO VALORE DEI MARCHI

Prima classifica delle case orologiere in base al valore del loro marchio: uno strumento d’analisi di marketing senza uguali sul mercato.

Per cominciare, occorre premunirsi contro le cattive interpretazioni di questa classifica InterMarques 50 L’scala di valori proposta qui non è:

• un raffronto della celebrità internazionale dei marchi di orologeria…

• una classifica del loro peso economico…

• un indicatore del loro valore di mercato (non confondere “valore” e “prezzo”)…

• un piano astrale capace di predire il loro futuro economico.

Il calcolo del valore d’un marchio tiene conto di diversi parametri riconosciuti nell’universo del marketing e dell’analisi finanziaria (vedere in particolare le classificazioni Interbrand o Brand Finance, che fanno autorità).

La classifica proposta da Business Montres & Joaillerie è tuttavia meno orientata verso la finanza che verso il marketing. Questione di expertise personale: non ho trattato questi modelli e queste tecniche di valutazione finanziaria (spesso d’origine anglosassone) con la stessa libertà dei concetti di marketing. Inoltre, una “finanziarizzazione” molto accurata dell’analisi dei marchi mi sembra un po’ inutile: la quasi totalità delle Case orologiere interessate da questa classifica non è, come tali, sul mercato e non richiedono dunque esegesi erudite per determinare le molle nascoste del loro potenziale borsistico…

In compenso, il valore di questi marchi è un indicatore eccellente d’affidabilità commerciale e di marketing per i fornitori, i dettaglianti e tutti i partner dell’impresa, nella misura in cui la forza d’un marchio è un perno strategico determinante.

È anche una questione di scelta editoriale: tanto è facile manipolare i dati d’industrie “aperte” in materia di cifre, altrettanto è rischioso utilizzare questi strumenti quando i principali partecipanti in questo mercato praticano l’opacità più totale sui conti di ogni marchio e consolidano questi dati nell’ambito di aggregati che impediscono – volontariamente? – ogni analisi un po’ fine del loro portafoglio.

INTERMARQUES 50

Come funziona?

Precisazioni utili: qui sono trattati solo i marchi europei. Questo valore, espresso in milioni d’euro, riguarda soltanto il mercato di orologi (fuori gioielleria, movimenti, negozi, ecc.), dunque il solo valore orologiero del marchio (è ovvio che i Louis Vuitton o Chanel valgono infinitamente più).

Le vendite di orologi sono ritenute sulla base di Top 180 Marques rivelato da Business Montres & Joaillerie (20 dicembre 2006): si tratta della sola classifica integrale mai pubblicata sull’orologeria svizzera e fa ormai da riferimento per gli analisti specializzati. È stato qui corretto degli errori, esagerazioni e riduzioni constatate dalla sua pubblicazione.

Fra i parametri esaminati, il valore d’un marchio integra:

• Il successo commerciale che incontra sui suoi vari mercati (cifra d’affari e quote di mercato) e le sue quote di mercato nel suo campo di concorrenza.

• Il potenziale della sua crescita e la sua capacità di generare profitti nel corso dei tre a cinque prossimi anni (dati che integrano i costi di produzione, di commercializzazione e di promozione).

• La dimensione delle maglie mondiali della sua distribuzione, la sua base (dettaglianti, negozi monomarca, negozi propri), la fedeltà di questi e dunque la capacità del marchio di incassare crisi economiche regionali.

• L’affidabilità del suo gruppo dirigente (capacità strategica, visione, competenza, carisma).

• La creatività dei suoi gruppi (innovazione prodotti, marketing, R&S, portafoglio di brevetti).

• La pertinenza delle sue raccolte e della sua offerta prodotti (coerenza, equilibrio, attrattiva in un quadro ultra-concorrenziale).

• L’intelligenza della sua comunicazione (concetti, scelta degli ambasciatori, pianificazione media, potenza del logo, ecc.).

• L’immagine che ne hanno i consumatori (notorietà, desiderabilità, status sociale, valore patrimoniale, valore “sentito”, qualità dei servizi prima e post vendita, fedeltà dei clienti, rivendibilità, ecc.).

La tendenza 2007-2008 mira ad evidenziare un orientamento potenziale per ogni marchio. Queste cifre non sono da considerarsi come valori assoluti, ma come elementi di raffronto destinati ad evolvere nel tempo: questa classifica sarà l’oggetto d’una pubblicazione annuale e s’arricchirà di osservazioni e critiche di quelli che ne apprezzeranno la portata.

• Ciascuno ha i suoi piccoli segreti: la chiave di ripartizione di questi parametri costituisce, per Business Montres & Joaillerie, un “segreto industriale” che non è pubblicabile.

A voi i marchi!

BM&J

Un marchio è, certamente, un riferimento sul mercato (definizione universitaria), ma c’è anche un attivo economico. Oltre al suo semplice nome, caricato più o meno di emozioni, di passioni e di convinzioni, un marchio ha il potere di creare una differenza nello spirito dei consumatori e dunque d’influenzare le loro decisioni finanziarie. Se un marchio è, in sé, un sistema di valori (nutrite e sostenute da bilanci enormi di comunicazione), è così creatore di plusvalenze, cosa che gli dà un valore economico misurabile: si può dunque attribuirgli un posto su una scala di raffronto.

È questa classifica individuale del valore dei marchi – ancora mai tentata nella stampa orologiera, né nell’industria degli orologi – che è pubblicata qui. Ancora una prima Business Montres & Joaillerie, che andrà, siamo alcuni, a causare strappi, ire e stridore di denti! Come per il nostro ormai segnale famoso Top 180 Marques, si tratta di creare una base di discussione: nel corso degli anni, si potrà in seguito raffinare questa classifica e determinare le evoluzioni più sensibili.

Il “valore” definito qui è quello del marchio, non quello dell’impresa: è ovvio che Rolex varrebbe infinitamente di più se il marchio venisse a essere messo sul mercato borsistico. Si tratta del marchio tanto in quanto attivo immateriale dell’impresa e come elemento del suo patrimonio globale, alla stregua dei suoi gruppi, le sue fabbriche, i suoi negozi, il suo museo o i suoi brevetti.

Il marchio è qui considerato come un attivo tanto più strategico che può determinare le prestazioni future dell’impresa e la sua capacità di generare profitti, oltre ai risultati del mercato. È il valore d’un marchio che gli permette d’attenuare gli effetti d’ingranaggio d’un ciclo e di limitare le conseguenze per la sua attività. Più il valore d’un marchio è elevato, più si trova “garanzia” contro i rischi della vita economica: questa “protezione” rassicura anche il cliente-investitore sulla perennità del suo patrimonio orologiero. Questo valore-marchio interessa in primo luogo i dettaglianti, per i quali è un “contratto di fiducia”, così come una promessa di profitti.

Che le imprese siano o no siano quotate, potenzialmente soggette a opa o potenzialmente “investibili”, il loro valore di marchio è un riferimento indispensabile ad ogni riflessione economica. Ci si stupisce che tale strumento d’analisi non sia stato ancora mai proposto…

1

ROLEX

3.913 M€

(fondazione Hans Wilsdorf)

Primo riferimento mondiale per l’orologeria di lusso all’inizio di questo secolo, Rolex è in ordine di battaglia per rimanerlo fino al prossimo secolo. Lo strumento industriale è stato riorganizzato per garantire indipendenza logistica, controllo intransigente della qualità ed innovazione permanente. Lo strumento commerciale e promozionale (ambasciatori) ha seguito. Chi potrebbe minacciare questa supremazia?

2

CARTIER

1.993 M€

(Richemont)

Grazie alla reputazione storica del suo marchio ed alla solidità della sua rete di distribuzione internazionale, la nave ammiraglia del gruppo Richemont ha provato la sua capacità di attraversare le tempeste peggiori. “Gioielliere dei re, il re dei gioiellieri”, Cartier nulla ha perso della sua magia. Lo stile “vecchia Europa” dei suoi prodotti e la debolezza concettuale della sua comunicazione potrebbero tuttavia ostacolare il marchio sui nuovi mercati del lusso.

3

PATEK PHILIPPE

1.206 M€

(famiglia Stern)

L’indipendenza e la prudenza d’una gestione familiare hanno mantenuto l’identità e la desiderabilità d’un marchio che può tutto permettersi. In particolare di commercializzare gli orologi più complicati del mercato, pur finanziando le sue innovazioni grazie a vendite massicce di orologi al quarzo abbastanza banali, ma ultra-proficui. Un’ “eccezione culturale”, generatrice d’un tasso incredibile di profitto unitario…

4

TAG HEUER

1.192 M€

(LVMH)

Membro del club dei “marchi faro” nell’ambito del gruppo LVMH (diritto d’entrata: 100 milioni d’euro di profitti annuali), TAG Heuer ha saputo ridiventare una fantastica “cash machine”, e intelligentemente. Scogli potenziali per il numero uno mondiale dello sport elegante: il grande divario tra linee di prodotto molto diverse ed un posizionamento glamour che non si è ancora dimostrato valido, mentre Longines s’impone in “TAG Killer” (vedere in pagina 3).

5

OMEGA

1.168 M€

(Swatch Group)

Grande contributore ai profitti dello Swatch Group (ad altezza di 190 milioni d’euro), Omega si riposiziona a grande andatura sull’haut de gamme orologiero, dove la sua legittimità rimane da consolidare. Il marchio è ovunque, da Hollywood ai giochi olimpici, con gruppi prestigiosi d’ambasciatori, ma, tra margine grezzo e fine tuning, sembra sempre cercarsi un’identità pertinente ed una strategia coerente.

6

CHOPARD

532 M€

(famiglia Scheufele)

In alcuni anni, Karl-Friedrich Scheufele è riuscito a costruire allo stesso tempo un vera manifattura, un vero marchio ed una vera reputazione orologiera: la qualità dello strumento impressiona e la sua capacità di produzione gli garantisce un’invidiabile indipendenza logistica. Peccato che il marketing e la progettazione siano ancora così timidi…

7

FRANCK MULLER

505 M€

(Vartan Sirmakes et Franck Muller)

L’idea era di costruire un gruppo: fatto. L’idea era di realizzare una galassia di manifatture specializzate per servire questo gruppo: fatto. L’idea è ora di perpetuare il marchio che s’afferma sempre “Master of complications”: sarà più difficile, soprattutto nella prospettiva d’immissione in borsa nel 2008.

8

BREITLING

479 M€

(famiglia Schneider)

Un raddrizzamento spettacolare dell’immagine di marca, uno dei migliori banchi di controllo qualità di tutta la Svizzera, un riposizionamento riuscito nel lusso grazie a Bentley, una comunicazione tenacemente fedele ai suoi valori legittimi: i fondamentali sono giusti e l’futuro senza nuvole, anche se i prodotti evolvono troppo poco (eccetto la linea Bentley).

9

AUDEMARS PIGUET

434 M€

(famiglie Audemars, Piguet ed alleati)

La success story dei combiers di Le Brassus continua, in tutta indipendenza familiare, ma non senza interrogtivi sul futuro d’un marchio esemplare. Si osservano meno modelli ultra-complicati nelle collezioni, ma ulteriori serie “limitate” ultra-opportuniste: logica di profitto immediato o preoccupazione di rispondere alle attese del secolo?

10

IWC

421 M€

(Richemont)

Il marchio trae la sua forza del suo instancabile manager, presente su tutti i fronti e sempre pronto a cavalcare l’onda che lo spingerà più lontano. Dotato di sua manifattura per realizzare movimenti e complicazioni propri, il marchio preferito dei miliardari americani può ormai dare del tu i grandi nomi dell’alta orologeria. Attenzione al mal d’aria!

11

PIAGET

409 M€

(Richemont)

Manifattura autentica di alta orologeria, Piaget sposa abilmente le sue due identità (orologi e gioielleria) per creare una sinfonia originale e seducente, sebbene troppo discreta per la nostra società dello spettacolo. Un percorso senza difetto, lo stesso manca al marchio un po’ d’audacia – forse un po’di possibilità – per guadagnare alcuni posti…

12

BREGUET

392 M€

(Swatch Group)

Stimolata dal suo presidente, Nicolas Hayek, al quale Swatch Group non ha rifiutato nessun bilancio d’investimento, la marca Breguet è ritornata al migliore livello nella sua categoria. La sua politica di comunicazione resta costosa e la sua capacità innovatrice ritarda a generare riferimenti definitivamente convincenti.

13

BULGARI

348 M€

(famiglia Trapani)

Il comparto orologeria è vecchio da Bulgari, che aveva inventato uno stile (Bulgari-Bulgari) e codici estetici (alluminio-gomma). Si cerca invano una logica nelle ultime raccolte e ci si chiede se il marchio – che dispone delle manifatture Daniel Roth e Gérald Genta – abbia ancora una strategia orologiera degna del suo passato.

14

CHANEL

334 M€

(famiglia Wertheimer)

Il successo fulminante del J 12 ha rivelato al mondo intero che Chanel non è solo una griffe d’alta moda. Molto vantaggioso per quest’aspetto orologiero della sua attività, il marchio esiste ormai con forza e legittimità come marchio orologi a tutto tondo: deve ormai gestire la curva di maturità del suo monoprodotto J 12, ed in particolare convincere il mercato maschile.

15

TISSOT

333 M€

(Swatch Group)

È il marchio calmo del gruppo Swatch, abbonato a due milioni di orologil’anno e capace di successo che fulmina sul terreno di l’innovazione (collezione T-Touch), ma non è più la macchina a profitti che era. La concorrenza cinese spinge ad un aumento pericoloso in gamma, che potrebbe, a termine, scuotere questo pilastro dell’industria orologiera svizzera, di cui la rete internazionale meriterebbe d’essere solidificata.

16

JAEGER-LeCOULTRE

329 M€

(Richemont)

La manifattura di Le Sentier è uno dei gioielli industriali del gruppo Richemont, che può soltanto rallegrarsi di averla soffiato sotto il naso dei concorrenti: l’investimento s’è rivelato costoso, ma ripagante! Ancora debolmente di moda, il marchio deve ora dimostrare che può valorizzare le sue innovazioni e che la sua identità non si limita ad un Reverso instancabilmente declinato…

17

GIRARD-PERREGAUX

309 M€

(famiglia Macaluso)

La penuria di capacità industriali stimola il valore delle “piccole” manifatture, soprattutto quando sono appoggiate ad uno splendido patrimonio orologiero, mai compromesso nei pigia-pigia economici del passato. Ci si chiede perché Luigi Macaluso, che ha ormai i mezzi delle sue ambizioni, esiti ancora a prendere il volo.

18

SWATCH

302 M€

(Swatch Group)

Nato dal più bel colpo di comunicazione orologiero del XX secolo (333 milioni di orologi venduti), il marchio ritarda ad entrare nell’età adulta. I colpi delle griffe di moda (Guess) hanno eroso la sua magia. Si cerca una linea di forza creativa nelle nuove collezioni, più difensive che offensive. L’immagine resta forte, ma il marchio manca d’un direttore carismatico.

19

LONGINES

294 M€

(Swatch Group)

Rilanciata alcuni anni fa sul fronte del glamour orologiero (“Elégance is an attitude “), Longines – la più classica dei grandi riferimenti Swiss Made – sembra orientarsi verso un riposizionamento sullo sport elegante, certamente per occupare il terreno scoperto dalla crescita in gamma di Omega.” Segmento iper-affollato, ma Longines vi applica una legittimità storica che rimane da sostenere con una nuova strategia di prodotto.

20

HERMÈS

289 M€

(famiglia Hermès)

Dalle sue prime collezioni orologiere, negli anni trenta, Hermès ha realizzato un percorso ineccepibile, fino a diventare un “vero” marchio di orologi, presto dotata dei suoi movimenti grazie al suo investimento nella manifattura Vaucher. I profitti sono in linea con i volumi, che potrebbero essere stimolati da prodotti più eye catching.

21

LOUIS VUITTON

267 M€

(LVMH)

Il marchio più famoso di lusso avrebbe potuto accontentarsi d’una semplice declinazione orologiera del suo monogramma e dei suoi codici estetici, ma ha raccolto la sfida, fino a fare degli orologi Louis Vuitton un riferimento invidiabile, tanto nei suoi concetti che per la sua qualità di fabbricazione. Anziché servirsi del marchio, gli orologi Louis Vuitton servono ad allargare il suo perimetro di legittimità.

22

RADO

252 M€

(Swatch Group)

Come tutti i marchi svizzeri di gamma media, Rado deve affrontare una concorrenza terribile, mentre i suoi contenuti tecnologici (la ceramica) ed estetici (la progettazione) non bastano più a creare una vera differenza. Rimane da sapere quale missione Swatch Group assegna a questo marchio, confrontato alla necessità di cambiare generazione, nella gestione e nella comunicazione.

23

MONTBLANC

246 M€

(Richemont)

Si dice che sia il marchio più strategico del gruppo Richemont, quello sulla quale riposano tutte le speranze d’una nuova leva di crescita “alla Cartier”. Dal punto di vista degli orologi, non è ancora là, ma il marchio ha acquisito una credibilità insospettata dall’annessione della manifattura Minerva, garante d’un’apertura sul terreno dell’alta orologeria.

24

VACHERON CONSTANTIN

237 M€

(Richemont)

Svegliata dai festeggiamenti del suo 250esimo compleanno, la manifattura ginevrina conduce con degna compunzione il suo adattamento al nuovo secolo orologiero: nuove dimensioni e nuovi movimenti, ma completamenti sempre tradizionali.

25

HUBLOT

221 M€

(famiglia Crocco)

Il bacio appassionato di Jean-Claude Biver ha svegliato la bella addormentata, che aveva dimenticato di aver lanciato la moda della gomma nel 1980 con suo Big Bang, il marchio recupera oggi il tempo ed il terreno persi, al punto d’avere quadruplicato le sue vendite nel corso di questi ultimi tre anni. Fuoco di paglia o (ri)nascita d’una stella di prima dimensione?

26

ROGER DUBUIS

209 M€

(Carlos Dias)

Dieci anni saranno bastati a Carlos Dias a creare un marchio, uno stile ed un punto industriale di riferimento nell’universo dell’alta orologeria. Il marchio si rivela qui più forte di quanto i buchi d’aria finanziari, le disinformazioni e l’anidride solforosa che hanno accompagnato il suo percorso. Anche se Carlos Dias ha a volte messo il carro prima del buoi, ha provato che aveva una visione, che deve ora condividere.

27

OFFICINE PANERAI

206 M€

(Richemont)

Magia del branding: dalla sua entrata nel gruppo Richemont, dieci anni fa, Panerai ha venduto mille volte tanto che nel corso del mezzo secolo precedente. Promosso oggetto di passione, anche dalle donne, l’orologio dei comandanti subacquei italiani può andare più lontano nella sua conquista dei mercati internazionali? Una leva di crescita è stata trovata con Ferrari, ma il marketing della rarità è un’arte esigente e complicata…

28

A. LANGE & SÖHNE

191 M€

(Richemont)

La tradizione dell’orologeria sassone non ha più d’un secolo e mezzo, ma la piccola città di Glashütte s’è imposta come una delle capitali mondiali di orologi. In meno di venti anni, la manifattura A. Lange & Söhne ha saputo dare uno stile a questa tradizione: austerità ostentatoria e rigore meccanico possono sedurre al di là del cerchio dei puristi europei? Il futuro d’uno dei più forti potenziali dell’alta orologeria europeo si gioca su questa domanda.

29

RAYMOND WEIL

175 M€

(famille Weil/Bernheim)

Uno dei migliori esempi di riposizionamento riuscito: i volumi sono stati quasi divisi per tre, mentre i prezzi medi triplicavano. La rete è stata ridimensionata e le collezioni riviste. Raymond Weil flirta oggi in modo credibile con l’universo dell’alta orologeria, ma deve fare fronte, su questo segmento, alla concorrenza massiccia dei gruppi del lusso, spietati con gli indipendenti.

30

ZENITH

161 M€

(LVMH)

La manifattura industriale di Le Locle è diventata una fabbrica di sogni, dove il movimento El Primero – Graal orologiero – non è più del pretesto per stupefacenti variazioni sul tema del neo-glamour high-tech. Il marchio trae la sua forza dal potere di commozione dei suoi orologi, ma Thierry Nataf s’è così tanto identificato con quest’immagine che ci si chiede cosa resterebbe di questa equazione s’egli venisse a ritirare il suo fattore personale…

31

BAUME & MERCIER

148 M€

(Richemont)

Dopo un serio passaggio a vuoto, il marchio male-gradito del gruppo Richemont riprende a respirare al suo ritmo – senza spolmonarsi a seguire gli altri – e a ribadire i suoi codici estetici, traduzione libera delle tendenze del modo orologiero. I cambiamenti della collezione sono sulla buona strada, come il consolidamento della rete internazionale. Non manca che un po’ di tempo…

32

RICHARD MILLE

133 M€

(Richard Mille)

In termini di relazione volume/valore, è certamente il più bel marchio del paesaggio orologiero. Si avrà la vera misura dell’exploit quando si saprà che è anche il più recente prodotto di questa classifica e probabilmente uno di quelli che si valorizzeranno più nel corso degli anni futuri. Richard Mille può tutto permettersi, in tutte le direzioni, eccetto un guasto di creatività.

33

BLANCPAIN

117 M€

(Swatch Group)

Sebbene “da 1735… “, il marchio non ha ancora trenta anni, ma la sua reputazione presso gli appassionati supera quella di molte manifatture storiche. Tutti gli ingredienti d’una ricetta alla Breguet sono sulla tavola e Marc Hayek non manca d’abilità per creare una salsa che potrebbe tuttavia essere più audace e più aromatizzata.

34

ULYSSE NARDIN

109 M€

(Rolf Schnyder)

Con discrezione, ma ostinatamente, la manifattura Ulysse Nardin si garantisce un posto di riferimento sul mercato dell’alta complicazione, dove moltiplica le innovazioni. Gli manca ancora un colpo di bacchetta magica per tutto ciò che riguarda il marketing e la comunicazione: è comunque importante quando si lavora per la posterità?

35

EBEL

108 M€

(Movado Group)

Cinque anni fa, Ebel non valeva più molto, poiche’ il gruppo LVMH ha fallito la rianimazione di questo marchio leggendario diventato molto debole. La rinascita non è niente di meno che spettacolare. Trovando il tono giusto per creare un nuovo recitativo per il marchio , il gruppo Movado ha rifatto circolare l’energia necessaria: Ebel è di ritorno, con una grande parte di vecchia forza del suo marchio.

36

FESTINA

121 M€

(Festina Group)

37

GUCCI

115 M€

(PPR)

38

GLASHÜTTE ORIGINAL

111 M€

(Swatch Group)

39

GUESS

103 M€

(Timex Group)

40

BREIL

101 M€

(gruppo Binda)

41

HARRY WINSTON

86 M€

(Aber Diamond Corp.)

42

VICTORINOX

77 M€

(famiglia)

43

TUDOR

73 M€

(gruppo Rolex)

44

MAURICE LACROIX

68 M€

(gruppo)

45

CHAUMET

65 M€

(LVMH)

46

CORUM

65 M€

(famiglia Wunderman)

47

MOVADO

62 M€

(Movado Group)

48

TECHNOMARINE

54 M€

(Franck Dubarry)

49

DIOR

52 M€

(LVMH)

50

CHARRIOL

48 M€

(Philippe Charriol)

Gregory Pons

Business Montres & Joaillerie

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