Prendo spunto da uno scambio di messaggi su Instagram con un lettore decisamente giovane, che commentando la notizia di un modello prodotto da una marca emergente, ha scritto: “Non ha mercato”.
Ho voluto approfondire con lui il suo punto di vista, poiché mi sembra quantomeno esagerato affermare che un orologio gradevole, ben fatto, dal prezzo di circa 600 euro, non abbia mercato.
La risposta è stata che quell’orologio non è un investimento.
Ora, la questione si fa filosofica. Normalmente parliamo di investimento quando vogliamo far fruttare i nostri soldi. Ovvero, per investimento si intende l’immobilizzazione di una somma di denaro che, nel medio/lungo termine, porti a un guadagno. Eppure, fra il pubblico degli acquirenti o appassionati di orologi (o entrambe le cose) si fa ormai un largo ed eccessivo uso dell’espressione.
Vorrei perciò sottolineare che la rivendibilità di un orologio è un concetto diverso da quello di “investimento”, perché mi sembra di capire che i due concetti siano spesso confusi. Lo leggo negli scambi di opinioni fra i nostri follower più o meno quotidianamente.
In ogni caso, la rivendibilità, o la sensazione di “fare un investimento”, è diventata un requisito imprescindibile. Un attributo determinante nella finalizzazione dell’acquisto di un segnatempo anche da poche centinaia di euro (fermo restando il rispetto per il denaro e il concetto che si debba pagare un oggetto per la sua effettiva qualità).
Ma l’idea di comprare un orologio per il piacere di indossarlo… Che fine ha fatto?
L’orologio non è più un oggetto che dovrebbe, prima di tutto, farci provare una sensazione gradevole quando lo allacciamo al polso?
Per non parlare della soddisfazione di mostrare il nostro nuovo acquisto agli altri… Soprattutto, perché dubito che qualcuno conservi in cassetta di sicurezza un pezzo di medio valore, per quanto possa mantenere il suo prezzo anche a lungo.
Dody Giussani
