Il Watches and Wonders si è concluso con un bilancio molto positivo in termini di novità interessanti, al punto che non ci aspettavamo di più o di meglio.
E invece non era finita lì.
Neanche si erano chiuse le porte del Palexpo di Ginevra, che già Patek Philippe sfornava un orologio “bomba”: il suo primo cronografo al decimo di secondo (Ref. 5470P), con un calibro altamente innovativo e progettato per offrire la massima affidabilità, di cui vi parlerò presto e approfonditamente.
Sono segnali, questi, che l’alta orologeria si trova attualmente in uno stato di grazia. Le Case investono in creatività, oltre che nella riscoperta di un passato che non tutte le firme, finora, hanno ancora valorizzato del tutto. Può infatti sembrare un trend assodato, eppure non sono molti anni che brand come Zenith stanno rivalutando e ripercorrendo la propria storia.
Quando si sente dire che una marca ha “riscoperto” un proprio modello di cui si era persa memoria, non è una trovata di marketing: è proprio così. Le manifatture sono impegnate sempre più nella cura e catalogazione dei propri archivi, anche grazie alla nomina di responsabili dell’heritage. Firme quali Patek Philippe, Vacheron Constantin e Breguet sono arrivate al vertice dell’industria anche curando con maniacale pazienza i propri registri, riacquistando in asta pezzi storici, garantendo il restauro degli orologi d’epoca.
A marzo ho avuto il piacere di accompagnare un gruppo di soci de L’Orologio Club in visita alla Jaeger-LeCoultre. Una delle scoperte più emozionanti è stato il museo della Casa, che ne ripercorre la storia da quando la Grande Maison produceva solo movimenti, fino alla rinascita del Reverso e, poi, allo sviluppo dell’atelier delle complicazioni. Una storia di evoluzione tecnica e, soprattutto, di sviluppo di tante specializzazioni che, perfino leggendo L’Orologio da anni, alcuni ospiti ancora non la conoscevano tutta. E un’eredità che può essere conservata, valorizzata e comunicata solo con un lavoro costante.
Dody Giussani
