Auction Marketing

Un terremoto sta scuotendo il mondo del collezionismo orologiero. Antiquorum, la prima Casa d’Aste del settore, ha perso la sua storica guida (e fondatore): Osvaldo Patrizzi.

Attualmente, tra Patrizzi e l’attuale management (imposto dall’azionista di maggioranza, la giapponese ArtistHouse Holdings) è in corso una guerra senza esclusione di colpi, a suon di citazioni in tribunale e di inediti scoop giornalistici.

Ultimo, in ordine di tempo, è quello dell’autorevole Wall Street Journal, che mette l’accento sullo sfruttamento delle aste, da parte delle marche di orologeria, come strumento di promozione del brand: un metodo già ribattezzato “auction marketing”.

Di cosa si tratta esattamente?

Fondamentalmente è un sistema per far aumentare il valore percepito di un marchio grazie alla sua quotazione collezionistica, raggiunta a suon di aggiudicazioni in asta.

La Antiquorum di Osvaldo Patrizzi avrebbe naturalmente avuto un ruolo di primo piano nell’applicazione di questa tecnica nel settore orologiero, trattandosi dell’unica Casa d’aste specializzata solo in orologeria. Sebbene anche altri nomi blasonati delle vendite all’incanto non siano rimasti a guardare, organizzando, sull’onda dell’entusiasmo del mercato, numerose vendite specializzate di orologi pregiati. Tuttavia alla Antiquorum si contesta l’abilità di aver fatto di questa opportunità un vero sistema, con le sue aste tematiche dedicate a un solo marchio orologiero, organizzate in stretta collaborazione con le Case.

Non era difficile per nessuno intuire e capire l’interesse della Case produttrici in questo genere di operazioni, di solito effettuate in concomitanza con anniversari importanti per il marchio. Il Wall Street Journal, però, evidenzia come le Case stesse partecipassero alle aste, facendo salire le aggiudicazioni di alcuni importanti pezzi e acquistandone molti altri, con il fine dichiarato di rimpinguare i propri musei, ma con il vantaggioso effetto secondario di veder salire il valore percepito del marchio.

Cosa succederà?

Il nostro pensiero è che l’ampio pubblico dell’orologeria vera – quella che viene prodotta oggi, con criteri di qualità moderni e investimenti ingenti nella ricerca e nella costruzione, da fabbricanti che non propongono un orologio a un prezzo più alto solo perché ha un colore di quadrante diverso – non sarà toccato dalla bufera. Crediamo, anzi, che smorzare gli animi nella corsa al pezzo raro (che in passato ha generato anche improbabili “nuovi vintage”, vedi il nostro articolo a pagina 62, sul prossimo numero 162) può solo fare del bene all’orologeria genuina.

Oltretutto, non sono pochi gli esempi di marchi e modelli attuali che non hanno avuto bisogno di un’asta, manipolata o no, per vedere aumentare il loro valore in poco tempo. Si pensi all’Audemars Piguet Royal Oak in carbonio, presentato da noi in copertina a luglio, che oggi si rivende sul mercato dell’usato fino a 7.000 euro in più del suo prezzo di listino.

Ma si tratta pur sempre di casi molto particolari, e si deve avere fiuto ed esperienza per approfittarne. La nostra (e vostra) rivista ripete da anni che l’orologio va acquistato in primo luogo per il piacere di possedere un oggetto di pregio, di apprezzarlo, di indossarlo, e non nell’aleatoria ricerca di un investimento duraturo. Del resto, non vale la stessa regola in altre industrie, come quella automobilistica?

È comprensibile il desiderio di non vedere fortemente svalutato domani l’orologio nuovo acquistato oggi, ma non può essere l’unico criterio di acquisto, visto che al contrario dell’automobile, che ha una vita media stimata in meno di 14 anni, la vita prevista per un orologio meccanico è praticamente illimitata, se correttamente mantenuto in efficienza. Il criterio della tenuta del valore nel tempo è imprescindibile per un bene che, volenti o nolenti, si è costretti a sostituire entro un arco di tempo piuttosto breve. Ma non può essere un motivo principale di acquisto per un bene di lunga durata come l’orologio meccanico, quel bellissimo accessorio personale che crea un legame indissolubile con il suo proprietario e che comunica la personalità o la storia di chi lo ha scelto o indossato a chiunque lo riceva in dono o in eredità.

Questo mi sembra un valore già abbastanza duraturo.

Ma continueremo a non trascurare di darvi indicazioni sul possibile valore collezionistico, non vi spaventate. Si tratta, come già detto, di indicazioni preziose, che in questo caso vi vengono fornite da un mezzo di informazione indipendente, gestito da persone che i loro orologi li hanno acquistati attraverso canali ufficiali, e mai rivenduti in asta.

Vi basta?

[Anticipazione dell’editoriale che sarà pubblicato sul prossimo numero 162 de L’OROLOGIO]

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