Editoriale – Il mercato dei falsi
va tollerato?

In orologeria l'acquisto di falsi è una pratica diffusa, eppure l'impegno delle marche di orologeria contro il mercato dei falsi è meno evidente.

“È punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 euro fino a 7.000 euro l’acquirente finale che acquista a qualsiasi titolo cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà industriale” è quanto stabilito dalla legge italiana. Eppure, sono in molti a correre il rischio, anche inconsapevoli del pericolo di una sanzione o comunque confidando di non essere “beccati”.


In orologeria l’acquisto di falsi è una pratica diffusa al punto che, recentemente, ho sentito dire: “Acquisto copie dei miei orologi per indossarli al posto degli originali e difendermi così da furti e scippi”. Come se il fatto di aver acquistato gli stessi modelli in versione originale costituisse di per sé un’assoluzione. La cosa inquietante, invece, è che perfino un collezionista trovi normale comprare un falso e non si vergogni ad indossarlo.

Da anni, l’impegno delle marche di orologeria contro il mercato dei falsi è meno evidente. Le forze dell’ordine continuano ad effettuare sequestri in quantità, ma sono lontani i tempi delle manifestazioni di indignazione da parte dell’industria.

Come quella famosa di Cartier, che durante uno dei primi saloni dell’alta orologeria di Ginevra con uno schiacciasassi frantumò centinaia di orologi contraffatti. Ed è scomparsa la comunicazione di Assorologi ed FHH, che in passato hanno realizzato efficaci campagne stampa contro i falsi.

Credo che abbassare la guardia su questo problema sia pericoloso, perché induce anche l’appassionato di orologi a considerare legittimo un comportamento scorretto e illegale. Il silenzio/assenso è sempre un errore e in questo caso ha il demerito di spingere il potenziale cliente ad allontanarsi dalle marche più colpite dal fenomeno, per non rischiare di essere confuso con i tanti “Vorrei ma non posso”. Si perdono così gli unici veri influencer: i propri clienti.

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